Lo straordinario misto di genio e talento vissuto in Rita Levi Montalcini una volta disse: “il corpo faccia quello che vuole, io sono la mente!”. Ricordate?
Come darle torto, soprattutto se al posto di un club di neuroni fluttuanti e sonnacchiosi, ci si ritrova un’artiglieria pesante di assoni a invadere il cervello in pieno stile Alleati in Normandia. Lei, donnino sempre attivo e all’opera, proprio come Margherita Hack, si svegliava la mattina presto per concentrarsi sulle sue ricerche -la mia esile predisposizione ad alzarmi con il canto del gallo è ciò che mi fa presagire di essere ancora lontana dal Nobel! 🙂
Tuttavia, se la nostra neurologa esortava il corpo a fare ciò che più gli aggrada, in quanto poco le pesava identificarsi e fondersi con la sua sola mente, è altrettanto vero che sì, il corpo fa ciò che vuole. E meno male che lo fa. Evviva la caparbia ostinazione e sordità del corpo che tutto sopporta, ma che tutto riporta.
Per condurvi nella mia riflessione, vi parlerò di due esempi, lontani fra loro ma utili per riassumere il punto su cui voglio fare luce.
Dermatite atopica, gastrite, enuresi, attacchi di panico, cistite, acne, sudorazione profusa sono solo alcuni dei sintomi e delle condizioni che rivelano un disagio molto più profondo di una ghiandola o della pelle. Le malattie psicosomatiche, diventate oggi il punto focale della medicina alternativa, in virtù di un progressivo avvicinarsi delle scienze mediche a quelle sociali (la famosa medicina olistica, di solito guardata con occhi di strabico, scettico interesse), sono rappresentazioni violente di un malessere interno che la mente sfoga con tutti i colori a disposizione del corpo.
C’è chi ha la cistite dopo un colloquio, chi viene preso da attacchi di panico in momenti di inspiegabile, apparente tranquillità, così come chi lamenta una tendenza ad avere la pressione alta, un forte bruciore allo stomaco dopo una riunione con il capo. Tutte queste piccole spie, spesso prese come insignificanti disturbi da trattare come un Momendol della situazione, sono invece da considerare importanti prese di posizione del corpo che, nel suo massimo momento di espressione prevale su ciò che la mente, bontà sua, vuole farci credere.
Stai andando alla grande, disse la mente, non cedere di un millimetro!
Cedo eccome, disse il corpo. Ti farò scappare la pipì così spesso da costringerti a fermarti una volta buona, tu e le tue smanie da perfezionista incallita!
Questo fa il corpo, fa ciò che vuole.
Allontaniamoci un secondo dalla medicina per avvicinarci brevemente a un triste episodio di cronaca americana di fine anni Novanta. Siamo a Boulder, cittadina del Colorado ai piedi delle cosiddette Flatirons, formazioni rocciose che sembrano voler ricalcare la forma di un ferro da stiro -flatiron, appunto.
La famiglia Ramsey, una madre ex reginetta di bellezza, un padre con un spiccato senso d’affari e due bimbi bellissimi, Burke e Jonbenét, di nove e sei anni. La mattina di Santo Stefano del 1996, i genitori trovano una richiesta di riscatto sulle scale, tre pagine di minuziosi dettagli e messaggi incomprensibili (vi invito a pensare ad altri casi in cui si siano ritrovate lettere di riscatto altrettanto lunghe) che lasciano intuire una sola ed unica certezza: la bambina, Jonbenét è stata “rapita”.
Senza volervi raccontare troppo sulla faccenda, e in particolar modo senza voler necessariamente accusare nessuno, includo qui il link di un documentario su questa oscura tragedia che sembra non essersi mai risolta: https://www.youtube.com/watch?v=lpIB49V2izU
Al minuto 1:01:36 trovate un estratto della seduta tra lo psichiatra infantile e Burke, fratello della piccola Jonbenet. Il medico fa uso di giochi come Indovina Chi per facilitare il dialogo tra lui e il bambino. All’inizio della conversazione, Burke appare rilassato, le sue gambe sono allungate e sul suo viso aleggia un timido senso di superiorità. Man mano che il dialogo procede, però, l’atteggiamento del bambino si modifica fino ad arrivare al momento cruciale della foto del pineapple and milk, un piccolo dessert fatto di ananas e latte, lo snack per eccellenza dei pargoli della famiglia Ramsey.
Tracce di ananas verranno in seguito ritrovate nell’intestino della bambina, a riprova del fatto che il frutto era stato ormai digerito. Sulla tazza trovata nel salotto di casa Ramsey, le uniche impronte sono quelle della madre e del figlio, ma non della figlia. Le indagini sembrano puntare il dito verso tutti i componenti della famiglia, anche verso il fratello. Possibile che Burke abbia avuto uno scatto d’ira verso una sorella che per dispetto ha appena rubato un pezzettino di frutta dalla tazza cui stava servendosi il fratello? Vero è che esplosioni di rabbia e gelosia nei confronti della sorella non erano affatto rari da parte del fratello maggiore, riportano persone vicine alla famiglia.
Per cercare di fare chiarezza, lo psichiatra mostra una foto della tazza contenente pezzettini di ananas e latte. Una semplice rappresentazione di un dettaglio casalingo. Lo psichiatra chiede con molta disinvoltura e tranquillità che cosa sia rappresentato in foto. Il bambino, come se avesse appena percepito il vuoto di una trappola che sta per aprirsi sotto di lui, indugia, bofonchia di non sapere cosa sia, forse sì, sono pezzettini di frutta e cereali? Per gli esperti di analisi del comportamento, l’atteggiamento del corpo di Burke è l’emblema non solo di chi si trova in difficoltà, ma di chi vuole scappare, di chi vuole farsi piccolo piccolo. Il bambino è passato dall’essere letteralmente allungato sulla sedia, a trovarsi rannicchiato sulle ginocchia, seppellendo a turno le mani sotto di esse; da uno sguardo con il mento in alto ad uno con il mento abbassato, la mano sinistra che si stropiccia fino ad accartocciare nervosamente la manica destra della maglietta. Ogni parte del corpo di quel bambino sembra volersi ripiegare su se stessa.
Il dottor Paul Ekman, che ha fatto dei suoi studi la sua fortuna e la sua vita, lo spiega bene: il corpo elude la mente mostrando ciò che noi, con tutti i nostri sforzi consci e inconsci, cerchiamo di nascondere. E non necessariamente agli altri, ma anche a noi stessi (ricordate le malattie psicosomatiche di prima?).
Bene, questo fa il corpo: fa ciò che vuole.
E nel far ciò che vuole, ci suggerisce in realtà la via più semplice, quella dell’ascolto.