Non proprio.
I quaderni americani non sono necessariamente quello che pensate voi. Tanto per intenderci, non sto parlando di questi: https://wwhttps://www.amazon.it/COMPOSITION-NOTEBOOK-Marble-college-inches/dp/B09F14T8DT/ref=asc_df_B09F14T8DT/?tag=googshopit-21&linkCode=df0&hvadid=610875638091&hvpos=&hvnetw=g&hvrand=2108300182974441485&hvpone=&hvptwo=&hvqmt=&hvdev=c&hvdvcmdl=&hvlocint=&hvlocphy=1008337&hvtargid=pla-1430514756233&psc=1
I quaderni americani sono un progetto che nasce verso la fine del 2022, momento in cui ho iniziato a buttare giù le prime righe. Ho vissuto negli Stati Uniti per due anni, dall’estate del 2018 fino a maggio 2020. Sono stati anni carichi di esperienze, anni che mi hanno segnata molto, più nel bene che nel male, direi.
Sono stati anni irripetibili e, come qualsiasi esperienza irripetibile, credo valga la pena scriverla, raccontarla, tornarci sopra per vedere se le percezioni e i ricordi siano sempre gli stessi, o se invece l’ombra dell’oblio abbia già contaminato le pagine della nostra memoria.
Vi sembrerà strano o forse prematuro, parlare di oblio alla tenera età di trent’anni, ma come ricorda il noto criminologo e psichiatra Massimo Picozzi, la nostra memoria non è una fotocopia: il modo in cui rielaboriamo un ricordo è soggetto a rimaneggiamenti del quale neppure noi siamo coscienti.
Da qui, dalla mia volontà di non lasciar sfilacciare il filo degli eventi troppo a lungo nel tempo, nascono dunque i Quaderni Americani, progetto di ampio respiro a lenta, lentissima gestazione.
Eccovi un piccolo assaggio:
Prendiamo quindi coraggio e facciamo pace con noi stessi: dell’America non sappiamo proprio nulla.
Immaginiamo, crediamo di sapere molte cose, anche aspetti tipicamente culturali. La verità è che noi non ne sappiamo e non ne possiamo sapere nulla di nulla, sebbene questo credo sia un ragionamento applicabile a qualsiasi tutte le culture e popoli a noi lontani dal nostro.
Ma se questo fosse vero, se davvero non sapessimo nulla dell’America, come spiegarsi allora quel senso di ancestrale conoscenza, quel senso di vicinanza scritta quasi nei geni e nella memoria?
Merito del processo immigratorio iniziato anni addietro? Sicuramente, ma c’è qualcosa di più.
Io sono cresciuta con i telefilm americani, dapprima il candido e puro Dawson’s Creek per passare a The Oc, protagonisti quasi tutti ricchi e problematici, eppure così dannatamente interessanti.
Grazie a ET, l’extraterrestre, ho imparato ad andare in bici a zonzo per i vialetti americani, così armoniosi e fitti di vegetazione.
Degli Stati Uniti, sappiamo inoltre che mangiano piuttosto male, che le macchine sono grosse, che i figli finito il liceo vanno nei college e che le macchine si posteggiano nei vialetti della propria casa, i cosiddetti driveway, oppure nei carport, quei capannoni all’aperto adiacenti la casa, adorabile e indipendente.
Conosciamo la loro passione per il football americano (soccer), sappiamo del loro Thanksgiving, il giorno del ringraziamento, festività quasi più importante di Natale.
E ancora, sappiamo che ogni casa ha la propria bandiera americana esposta fuori (tutte le case, siamo sicuri?) e che i grattacieli di New York sono infiniti.
Risaputa è la dedizione americana al lavoro, così come rinomata è il rispetto, la venerazione sconsiderata al Dio verde (ammirazione o dipendenza congenita?), il dio Dollaro che tutto può, tutto dà e tutto toglie.
Infine, come lasciarsi sfuggire di mente il loro gravissimo problema delle armi da fuoco, argomento che ciclicamente ritorna all’ennesima, dolorosa, sparatoria scolastica.
Sappiamo del loro modo impacciato di relazionarsi, ma la verità è che noi non siamo molto diversi dagli americani che, bontà loro, credono che ogni bambina italiana nasca con una borsa Gucci in mano, non si sa se in comodato d’uso o se di proprietà.
La verità è proprio questa: per gli americani, noi italiani nasciamo tutti dalla mano di stilisti di calibro internazionale: ci rechiamo leggiadri e spensierati a lavoro, a bordo delle nostre bellissime vespe e, particolare inspiegabile, ci nutriamo della miglior cucina al mondo senza mai mettere su un chilo di troppo.
Non dimentichiamoci poi che noi italiani siamo un po’ casinisti, parliamo un po’ troppo a voce alta e con qualche gesto di troppo. Ma del resto, che ci importa! Possiamo sempre goderci un caffè accavallando le gambe in un qualche rinomato bar del centro, mostrandoci a vicenda i mocassini griffati e parlottare ridendo senza un solo cruccio al mondo.
Così si conoscono le persone da un capo all’altro del mondo: per sentito dire, per risaputo, dunque per vero.